

L’opera da me ascoltata questa sera si sarebbe potuta intitolare “Riccardo di Lammermoor” in quanto la solita direzione a senso unico di Chailly non lasciava praticamente spazio ad altro che non a lui e meno male che, nonostante ciò, le grandi personalità di Lisette Oropesa, Juan Diego Florez e Michele Pertusi sono riuscite ad emergere. Tutte le volte che vedo dirigere Chailly ho esattamente la stessa impressione: “Conto solo io e degli altri mi interessa poco”, un po’ alla Riccardo Muti del quale però non ha la pur minima qualità. Non facile da gestire una cosa del genere quando si parla di opera lirica. Muove l’orchestra come se si trattasse di un poema sinfonico di Strauss tentando spesso di affossare le voci e chi più ne ha fatto le spese è stato il povero Florez. Unico pregio quello di aver proposto un’edizione integrale e un’edizione critica che comunque vede solo qualche differenza nello strumentale, qualche frase in più nei ruoli di Lucia e di Raimondo e qualche parola diversa (vedi per esempio: “mi drizza in fronte il crin” invece di “solleva in fronte il crin” nell’aria di Enrico “cruda funesta smania”….capirai! Un po’ come quando uscì l’edizione critica di Rigoletto e si gridò al miracolo perchè il Duca diceva “Tua sorella e del vino” anziché “Una stanza e del vino”…surreale. Comunque non si affronta così il repertorio belcantistico ottocentesco. La Lucia diretta da Yurkevich a Nizza non aveva le compagini della Scala ma era tutt’altra cosa. Chiudo qui con la speranza di non vederlo più dirigere se non purtroppo per produzioni che vedano cantanti di mio interesse perché ricordiamolo: per dirigere l’opera ci vuole un bravo direttore che la ami ma soprattutto ci vogliono i cantanti!

Lo spettacolo di Yannis Kokkos fa parte di quelle produzioni che non disturbano ma dicono comunque poco. Ovviamente la vicenda è spostata in altra epoca (non facciamoci mai mancare questo particolare). Le scene sono scure ed i cantanti hanno sempre addosso una luce bianca “sparata”. Una sorta di monotonia generale. Meno male che la Oropesa ha un fisico che le permette di essere elegante e di indossare qualsiasi cosa altrimenti sai che dolori con quegli abitini anni ’20.

Buona, come sempre, la prova del coro istruito da Alberto Malazzi.


Passiamo alle voci. Nella tradizione il Normanno qui interpretato, per chi lo sentiva (!), da Giorgio Misseri. Questo cantante da me ascoltato (!) anni fa a Roma in un ruolo importante in Fra Diavolo di Auber non è sicuramente all’altezza di un ruolo, seppure di comprimario, in una produzione di un teatro come quello della Scala.

Stesso discorso vale per Leonardo Cortellazzi nel ruolo di Arturo, forse un gradino sopra Misseri ma la solfa è la stessa.

Di rilievo invece l’Alisa di Valentina Pluzhnikova, allieva dell’Accademia del Teatro alla Scala, qui molto impegnata in quanto, con l’esecuzione integrale del concertato, il ruolo assume uno spessore che con i tagli di tradizione non ha.

Raimondo era Michele Pertusi che conosco molto bene e con il quale ho avuto l’onore di cantare tanti anni fa. Le sue prestazioni sono sempre di alto livello ed anche in questa occasione emergono la sua solidità vocale e la sua cifra interpretativa. Da al personaggio una grande dignità eseguendo, nell’integralità della produzione, anche la scena che segue il duetto fra Lucia ed Enrico spesso omessa. Bravo!


Enrico era il baritono russo Boris Pinkhasovich. Francamente non ne sapevo nulla infatti credo sia la seconda volta che canti in Italia. La prima, sempre alla Scala, in Boheme poi solo teatri europei con un repertorio prevalentemente russo. E’ corretto, onesto ma nulla di più. Attualmente qualche baritono buono circola quindi non vedo l’utilità di scomodare questo cantante per quella che voleva essere una produzione “memorabile”. Se volevano renderla memorabile avrebbero dovuto scritturare Teziér per esempio.


Quello che sto per scrivere mi da un poco dispiacere in quanto sono sempre stato un grande ammiratore di Juan Diego Flòrez. Lo conobbi appena arrivato in Italia al seguito del suo Maestro Ernesto Palacio, peruviano come lui. Avevo da poco registrato una Passione di Mayr con Palacio che fu con me prodigo di consigli durante l’incisione. Incontrai Ernesto poco tempo dopo da Ricordi a Milano e mi presentò questo giovane tenore dicendomi: “Sentirai parlare di lui”. Così fu. La prima volta che ascoltai Flòrez fu a Genova in “Cenerentola”. Forse aveva 23 anni. Rimasi colpito dalla bellezza del timbro, dalla fluidità e precisione della coloratura e dalle qualità interpretative. In seguito tante altre produzioni. Mi piace ricordare una spettacolare “Donna del Lago” in forma da concerto sempre a Genova ed ancora a Genova “Fille du Regimént” e “Sonnambula” a Barcellona. Qui, a cinquant’anni, ritrovo tutte le caratteristiche che me lo hanno fatto sempre amare ed una freschezza vocale veramente invidiabile. Capisco pure che con la maturità un cantante desideri cimentarsi anche in un altro repertorio oltre a quello che lo portato al grande e meritatissimo successo ma Edgardo non fa per lui. Manca proprio quello spessore vocale che lo avrebbe visto trionfatore anche stasera. Non aiutato dal direttore che, come ho già scritto, ha in diverse occasioni tentato di affossare tutti, è quello che ne ha sofferto di più. In molte parti dell’opera non si sentiva e tutte le sue splendide intenzioni vocali e di interpretazione spesso si perdevano nel vuoto. Ovvio che la ripresa televisiva della prima non poteva evidenziare tutto ciò ma un orecchio attento (quale io con un po’ di presunzione o forse esperienza credo di avere) lo poteva prevedere. Ho cercato lo stesso, durante la recita, di concentrarmi su quelle che sono le sue indiscutibili qualità ma il dispiacere nel dover constatare quanto ho scritto è stato grande. Detto ciò lo amo lo stesso!


Lucia era Lisette Oropesa da me già ascoltata esattamente un anno fa nello stesso ruolo a Vienna. La sorpresa continua. La voce, senza aver perso nessuna delle sue caratteristiche, si è scurita dando a questo ruolo forse il colore e lo spessore ideale. Ricordo a chi non lo sa che la scrittura vocale di Lucia è quella di un soprano lirico e che, in tempi successivi alla sua prima esecuzione, divenne “preda” dei soprani leggeri che spesso erano in difficoltà nelle parti centro gravi del ruolo modificandone alcune parti ed aggiungendo puntature e cadenze che dovevano sopperire a questa mancanza. In questa edizione Lisette (o il direttore?) opta per una breve cadenza al termine della prima parte della famosa Scena della Pazzia, qui eseguita con la Glassarmonica o Armonica a Bicchieri (a proposito: o sono orbo io o nel programma di sala e sulla locandina non trovo il nome dell’esecutore). Avendola ascoltata nelle due versioni, a Vienna tradizionale e qui rivista sull’autografo, devo dire che l’ho apprezzata in tutte e due le circostanze. Meno “pirotecnica” questa ma forse ancora più approfondita dal punto di vista interpretativo. Interpretazione che emerge in maniera esponenziale grazie ad una scenografia pressoché inesistente e questo è per me un suo grande merito. La sua Lucia è molto “nervosa” fin dalla sua prima entrata. Come può non essere già pazza una che vede l’acqua di una fontana trasformarsi in sangue? Man mano che l’opera va avanti questo squilibrio è sempre più evidente fino a sfociare in una scena della pazzia per me indimenticabile e veramente commovente. Con lei ogni parola ha un senso come pure ogni gesto. Essendo eseguito anche il recitativo tra Raimondo, Enrico e Normanno, che segue la cabaletta “Spargi d’amaro pianto” risulta logico non vederla stramazzare al suolo dopo il bellissimo Mib sopracuto (!) ma, invece vederla rimanere in piedi allucinata e scortata poi fuori da Alisa e dalle Dame del castello. La carriera di Lisette vedrà sicuramente nuovi importanti debutti. Le ho visto consegnare lo spartito di un’opera che amo molto ma che non nomino perché magari a lei non fa piacere parlarne già…ma spero tanto che appena le si presenti l’occasione affronti questo ruolo. Sicuramente il prossimo anno debutterà Matilde nel Guglielmo Tell a Vienna e li spero di poter andare: “Wenn Gott will”, come diceva la Gruberova.


Inziando lo spettacolo alle 20 (ma quando si decideranno i teatri in Italia ad iniziare almeno un’ora prime le recite serali? Non basta farlo con Wagner! Bisogna farlo sempre!), per poterla salutare, abbiamo chiesto a Lisette di poter accedere ai camerini anche perché, saremmo stati sepolti dall’orda di cinesi piazzati davanti all’uscita di Via Filodrammatici e avemmo perso così l’ultima metro per andare a recuperare l’auto a Famagosta! Lei e Steven, il marito, sono due persone deliziose e sono sempre gentilissimi. Io ormai la conosco e la seguo dal 2019 ed ogni volta è un piacere incontrarla e scambiare qualche opinione con lei. Nei camerini è più facile. Salutati anche Flòrez e Pertusi siamo letteralmente volati alla metropolitana dove abbiamo preso l’ultimo treno previsto.




Le mie prossime cronache mi vedranno a Salisburgo in agosto. Rilassatevi dunque. Non vi tedio per un po’! Next.



