Bellissimo il concerto di questa sera al Teatro alla Scala che vedeva come protagonisti il celebre soprano statunitense Renée Fleming ed il pianista Evgeny Kissin. Ci tenevo molto ad assistere a quest’evento in quanto penso fosse l’ultima occasione per me di ascoltare dal vivo questo soprano. Premetto che avevo ricevuto commenti molto spesso discordanti da conoscenti melomani che l’avevano ascoltata come per esempio: “Grande vocalità! Grande interprete!”… oppure: “Vocetta piccola, poco teatrale”! Di fronte a considerazioni così opposte era fondamentale per me un ascolto diretto. Premesso che la Fleming ha ormai sessantaquattro anni e la sua vocalità non sarà certo quella di vent’anni fa mi baso quindi su ciò che ho ascoltato ieri sera. Al di la del fascino personale che ha mostrato fin dal suo primo ingresso sul grande palcoscenico della Scala, che già di per sè catturava l’attenzione del pubblico esibendo poi, nel corso del concerto, due abiti stupendi che esaltavano un fisico di una trentenne al massimo, posso affermare senza alcun dubbio che il soprano ha ancora un controllo assoluto su tutta la gamma eseguendo notevoli pianissimi, mostrando un assetto vocale di tutto rispetto. Sono rimasto incantato da questa voce molto particolare ed usata in modo assolutamente personale. Anche dal punto di vista interpretativo è stata assolutamente convincente e molto comunicativa. Peccato non poterla ascoltare ancora nel repertorio operistico anche perché in questi ultimi anni la sua attività si è svolta essenzialmente negli Stati Uniti ed, in Europa, a Londra e Parigi. Ha portato questo programma in varie città europee e la cosa fa intuire quasi un addio al Vecchio Continente. Lo ripeterà ancora al prossimo Festival di Salisburgo in agosto.
I due artisti arrivano sul palcoApplausi
Accanto a lei uno strepitoso Evgeny Kissin, oggi uno dei massimi esponenti del pianismo internazionale, in assoluta sintonia con la Fleming, che ha anche eseguito brani solistici quali Sposalizio, dagli Anni di Pellegrinaggio di Liszt, il Valzer n.1 dai Quatre Valse Oubliées e Mélodie e Sérénade dai Morceaux de Fantasie di Rachmaninov. Un tocco veramente impressionante. La mia posizione in sala permetteva un ascolto ottimale (anche se continuo a pensare che, dopo i lavori di restauro di un po’ di anni fa, l’acustica della Scala sia peggiorata) ed anche il pianissimo più spinto si percepiva come qualcosa di magico ed avvolgente.
Evgeny Kissin
Il programma ha visto la Fleming passare da quattro lieder di Schubert: Suleika I, Die Vögel, Lied der Mignon e Rastlose Liebe a tre di Liszt: Freudvoll und Leidvoll, Über allen Gipfeln ist Ruh e Im Rhein in schönen Strome, per proseguire nella seconda parte con due Rachmaninov: Siren’ e Son e ancora due Liszt S’il est un charmant gazon e il celebre Oh! Quand je dors che, a mio avviso, è stato il punto più alto della serata (veramente commovente!), per concludere con due Duparc: Extase e Le manoir de Rosemonde. Il concerto, fra le acclamazioni del pubblico, si è concluso con tre bis: Ave Maria di Schubert, Spring Waters di Rachmaninov ed uno spettacolare Morgen di Strauss.
Seconda parte Applausi
Ad attenderla in Via Filodrammatici un’orda di cinesi (sicuramente allievi del Conservatorio) eccessivamente rumorosi i quali non hanno permesso una normale comunicazione con il soprano che si è mostrata comunque soddisfatta dell’esito della serata.
LocandinaAssalto 1Assalto 2Assalto 3
Solita nota polemica. il pubblico della Scala è sempre più maleducato! Come è possibile che ancora la gente non sappia che non si deve applaudire se non al termine di ogni ciclo di lieder per non deconcentrare l’artista che li esegue? Mistero. Rumori di ogni tipo nelle gallerie e nei palchi con porte che sbattono, questo causato anche dalle maschere, ragazzotti non decentemente “educati al loro lavoro” che, ultimamente, usano riunirsi poi all’uscita per fumarsi delle canne…una meraviglia. Ma come li assumono? Non un mazzo di fiori donato alla Fleming. Ho assistito ad una discussione all’esterno a proposito di questo fra un abbonato ed il “factotum” Meyer il quale molto sgarbatamente ha risposto che i fiori le sono stati dati privatamente…ma da quando si fa così? E’ finita l’età d’oro della Scala, delle direzioni artistiche come quella di Paolo Grassi ecc.!!! La Scala ha solo il nome ormai. Le stagioni sono tali e quali a quelle di un teatro qualsiasi. Un teatro di “peracottari”, basti ricordare la dicitura sul programma di sala del concerto della Grigorian: Asmik Grigorian BASSO!!! Pazzesco. Questo viene da quello che dovrebbe essere il teatro d’opera più importante del mondo. Mah…mia mamma mi diceva sempre: “E’ finito il bel tempo che fu!”…Niente di più vero.
Grazie come sempre a Guido Palmieri possessore di migliori fotografie e ad Eugenio Osso fotografo degli “assalti”.
Il primo pensiero che mi viene in mente dopo aver assistito a questo spettacolo è: “Che peccato!!!”. Peccato perché, se per una volta, ho assistito a Genova (!) ad una produzione dove la parte musicale era di altissimo livello con un cast degno veramente di un teatro di serie A, ho altresì assistito ad uno spettacolo che posso definire solo con un termine: stupido! Scenografie di Luigi Perego scarne ed inutili che, in un palcoscenico enorme come quello del Carlo Felice, si perdevano. Un enorme struzzo che incombeva in maniera inquietante, presenza questa spiegatami poi dalla gentilissima Danae Kontora ovvero: lo struzzo mette la testa nella sabbia per nascondersi ma tutto il corpo è visibile così come i personaggi di questa operetta si nascondono fingendosi altre persone ma alla fine vengono smascherati. Mah…altre stronzate da inventare le abbiamo? Purtroppo sì!!! Un mio allievo cinese che aveva assistito ad una precedente rappresentazione mi aveva scritto chiedendomi il significato della parola “belin” dicendomi che veniva usata dal Carceriere nell’ultimo atto. Ho pensato che forse, dato che siamo a Genova, fosse stata inserita nel dialogo come riferimento al nostro dialetto nonostante i dialoghi fossero in tedesco; grande trovata!!! Mi sbagliavo! Durante tutto il terzo atto il Carceriere ha usato il noto intercalare ogni tre parole circa. Veramente imbarazzante. Oltretutto il povero attore Udo Samel la pronunciava con due L, “Bellin” tanto che, se non avessi letto la parola nei sopratitoli, non avrei forse capito la citazione…ancora più imbarazzante! Inspiegabile la presenza sulla scena di quattro comparse in tuta da operaio che interagivano con il tutto spostando riflettori e cose simili…ma perché? Questa la regia di Cesare Lievi. Non aggiungo altro se non che mancava la base: l’atmosfera viennese che si avvertiva solo nella realizzazione musicale ma che purtroppo sì dissolveva in questo spettacolo inutile.
Lo struzzo incombente con Deniz UzunInsiemePrimo attoIl bravo Udo Samel
Veniamo al cast. Nel ruolo di Eisenstein il baritono danese Boje Skovhus, nonostante non sia più un ragazzino ha dimostrato, in un ruolo che viene spesso interpretato anche da tenori, una tenuta vocale veramente invidiabile e qualità interpretative ed attoriali, data la lunga esperienza, veramente notevoli.
Boje Skovhus
Sul versante maschile molto bene anche il baritono Liviu Holender nel ruolo del Dottor Falke. Pregevole l’introduzione al concertato del secondo atto.
Liviu Holender
Bene Bernhard Berchtold come Alfred, Levent Bakirci quale Frank, direttore delle carceri e Benedikt Kobel, Dr. Blind l’avvocato.
Bernhard BerchtoldLevent BakirciBenedikt Kobel
Come ho scritto sopra il livello del cast andava dall’alto all’altissimo, cosa singolare per Genova!
Applausi finali
Note felici anche sul versante femminile. Al debutto nel ruolo di Rosalinde Valentina Nafornita presentava una vocalità più corposa rispetto a quando l’ascoltai a Vienna come Zerlina in Don Giovanni. Precisa nelle agilità che il ruolo prevede. Registro acuto brillante e molto presente: una bella conferma per me.
Valentina Nafornita
Nel ruolo di Adele il giovane soprano greco Danae Kontora mi ha piacevolmente sorpreso. L’avevo ascoltata solo in video e già da quelle registrazioni ero rimasto stupefatto dalla disinvoltura con la quale gestisce agilità e sopracuti ma, come dico sempre, una voce va ascoltata in teatro; impressioni confermate. Spero di poterla ascoltare in futuro magari come Zerbinetta o Olympia (dove esegue delle variazioni spettacolari). Andate ad ascoltarla su YouTube: vale veramente la pena! Grande musicalità e notevoli doti attoriali in un ruolo nel quale sono indispensabili.
Danae Kontora
Nel ruolo di Orlofsky il giovane mezzo Deniz Uzun ha mostrato una vocalità di tutto rispetto ed ottime qualità interpretative.
Deniz Uzun
Bene Alena Sautier nel piccolo ruolo di Ida.
Alena Sautier
Di Fabio Luisi si è già detto tutto. Fa suonare bene chiunque stia sotto la sua bacchetta. In questo caso oltre la consueta precisione nel gesto e nella scelta dei tempi ha realmente ricreato quello spirito viennese assolutamente necessario per l’esecuzione delle musiche di Strauss purtroppo, come ho detto prima, un po’ inibito dall’ inutile allestimento. Funzionale la resa del coro sotto la guida di Claudio Marino Moretti.
Fabio Luisi e Claudio Marino Moretti
Al termine le solite due parole con gli artisti, tutti estremamente gentili. Qualche parola in più con Danae Kontora che è una persona deliziosa alla quale auguro una carriera strepitosa quale merita!
Con Boje SkovhusCon Valentina NafornitaCon Danae Kontora
Eccomi a parlare di quella che sarà probabilmente una delle mie ultime trasferte. Tra l’altro bella occasione per incontrarmi con un’amica di vecchia data Laura Romo Contreras, ottimo soprano, che ha diviso con me in passato avventure musicali e che da qualche anno canta nel coro dell’Opera di Montecarlo come pure Paola Scaltriti grande Azucena in un paio di Trovatori cantati con lei. Veniamo a Lakmé. Lakmè è il ruolo nel quale ho ascoltato nel 2017 a Marsiglia dal vivo e per la prima volta Sabine Devieilhe. Li è nato il mio amore per questo soprano e per quest’opera della quale conoscevo molto poco. Da li ho sempre cercato nei limite del mio possibile di seguire quest’artista straordinaria: Blondchen alla Scala, Zerbinetta ad Aix (debutto nel ruolo) ed alla Scala, Arie da Concerto di Mozart a Roma S. Cecilia, Königin Der Nacht nel Zauberflöte a Bruxelles, Sophie nel Rosenkavalier a Zurigo, Marie a Vienna ed a Londra, Ophelie (Hamlet) a Parigi, Constance (Les Dialogues) a Parigi, un concerto a Zurigo in piena pandemia, ancora Lakmè a Madrid fino ad Ilia nell’Idomeneo ad Aix la scorsa estate.
Sabine al termine dell’aria delle Campanelle
Sabine incarna il vero e puro soprano di coloratura il che significa che se il solito sprovveduto, limitato ed incompetente ascoltatore di audio/video su YouTube assurto a ruolo di melomane esperto, si aspetta di sentire una voce dal volume di una Dimitrova o Nilsson resterà stupidamente deluso o, al meglio, sorpreso. E’ caratteristica e pregio di questa tipologia di soprano l’esilità della voce. Questo non vuole significare “non si sente” anzi, un’ottima proiezione del suono fa apprezzare anche la sua prima ottava e la zona centrale in genere al di la della zona acuta e sopracuta. Ricordo che anni fa Sabine si fece tentare ed avrebbe dovuto debuttare Gilda a Marsiglia, poi cancellò. Le chiesi il motivo di questa cancellazione e lei mi rispose: “No. Lei (Gilda) è troppo grande per me”! Questa è intelligenza!!! A tutte queste caratteristiche tecniche unisce una musicalità pazzesca e straordinarie qualità interpretative che, in una versione in forma di concerto, come questa è stata, risaltano ancora di più! Io mi ripeto sempre e volutamente ma un cantante che proviene dallo studio di uno strumento ha qualcosa in più. Sabine è violoncellista e non aggiungo altro. Venendo allo specifico la sua Lakmè, negli anni, è maturata. Il personaggio è cresciuto sia dal punto di vista vocale sia da quello interpretativo. Il personaggio ha uno scavo maggiore dal punto di vista psicologico e sempre di più ne è chiara la sua visione: Lakmè “intrappolata” dal padre che, per suoi motivi religioso/politici la trasforma in una dea inaccessibile, lei che è solo una fanciulla pura ed ignara delle cose del mondo. Giuro che non c’è stato un momento dell’opera in cui io non mi sia commosso. La preghiera iniziale, l’incontro con Gerald, le famose “clochettes” che per lei non sono solo un esercizio ginnico. Io sono così. Avvertivo l’imbarazzo di mia figlia che era seduta vicino a me, lei che invece è una apparentemente rigida ma che interiorizza tutto. Nel finale, dove la voce di Sabine sembrava arrivare da un altro mondo, le lacrime scendevano senza ritegno e non me ne vergogno. Questa per me è l’opera, questo è quello che deve suscitare e comunicare. Grazie Sabine! In questo momento, per me non facilissimo, le emozioni che mi trasmetti sono una medicina. Spero di avere in futuro altre occasioni “curative” come questa.
Sabine Devieilhe Le ultime emblematiche parole che Lakmé rivolge a Gerald al termine dell’opera.
Il resto del cast era assolutamente all’altezza. Mi ha molto sorpreso e piaciuto il tenore Cyrille Dubois. Lo avevo ascoltato (in video) proprio come Gerald in una Lakmè con Sabine a Mosca e non mi aveva proprio impressionato ma, come dice sempre a tutti ed a me stesso, le voci vanno ascoltate dal vivo per averne una precisa impressione e così è stato. Tipico tenore lirico leggero di scuola francese e, ovviamente, totalmente a suo agio in questo repertorio e in questo tipo di scrittura vocale. Sicurissimo tecnicamente ed estremamente espressivo. Perfetto partner per la Lakmè di Sabine. Commovente nella sua bellissima aria “Fantaisie aux divin mensonges” e nel finale dell’opera.
Cyrille Dubois
Nel ruolo dell’autoritario padre Nilakantha il baritono Lionel Lothe ha presentato una vocalità bella ed imponente dimostrando che anche una voce “grande” può, se sorretta da una tecnica adeguata, cantare piano sfruttando tutte le dinamiche scritte a favore di una grande espressività! Bravo! L’esecuzione della sua aria “Lakmè ton doux regard se voile” è stata oggi un punto altissimo nell’esecuzione dell’opera.
Lionel Lothe
Nel ruolo di Mallika, confidente di Lakmè ed impegnata nel duetto dei Fiori, una delle pagine più note dell’opera grazie anche ad un suo uso smodato in vari spot pubblicitari, il mezzosoprano Fleur Barron mostra una bella vocalità e si trova in perfetta sintonia con il soprano.
Fleur Barron
Molto bene anche il baritono Pierre Doyen nel ruolo di Frédéric, militare ed amico di Gerald come pure Erminie Blondel, Ellen la figlia del Governatore. Charlotte Bonnet, Rose sua amica, Svetlana Lifar, la Governante di Ellen ed Matthieu Justine, Hadij un servo indù. Questi ruoli non sono poi così marginali ed in questa occasione sono stati eseguiti molto bene ottimizzando così l’alto livello del cast. A Madrid, per esempio, erano discretamente scadenti a parte Enkeleida Schkosa nel ruolo della Governante. Le direzioni artistiche dovrebbero stare attente quando scritturano cantanti per i ruoli comprimari: il basso livello delle seconde parti abbassa il livello di tutta la produzione. Precisi ed adeguati nei loro piccoli interventi durante la scena del mercato Lorenzo Caltagirone, Thierry Di Meo e Przemyslaw Baranek, elementi del Coro.
Pierre DoyenCharlotte Bonnet. Erminie BlondelMatthieu Justine
Ottima la prova dell’Orchestra sotto la direzione di Laurent Campellone. Confesso di aver sentito questo nome per la prima volta e, fatta una ricerca su internet, ho scoperto in lui un esperto nel repertorio francese e considerato, alla pari di Michel Plasson, un suo strenuo difensore nonchè depositario della tradizione.
Ottima anche la prova del Coro istruito da Stefano Visconti. Il coro in quest’opera ha un ruolo importantissimo ed è spesso messo alla prova “viaggiando”in tessiture impervie.
Orchestra e Coro de L’Opera de MontecarloApplausi finali
Felicissimo quindi di aver assistito a questa Lakmè in forma di concerto e di aver gioito ancora una volta della grande interpretazione di Sabine Devieilhe o come la definisco io “La Voce degli Angeli”!
Applausi
Alla fine abbiamo aspettato Sabine che stava partendo per Parigi dove, in questi giorni la produzione trasloca da Montecarlo al Théâtre des Champs Elysées per una rappresentazione. Sempre gentile, semplice ed alla mano, le ho presentato mia figlia Elena che è nata nel suo stesso anno (anni fa mi disse: “Ottima annata!”). Oggi tra l’altro è il suo compleanno che può così festeggiare in famiglia. I veri grandi sono semplici. Questa è Sabine Devieilhe!!! Alla prossima.
Con Sabine Devieilhe
Fotografie fornite come sempre dall’amico Guido Palmieri tecnicamente sempre sul pezzo!
Ancora una trasferta, non particolarmente lontana, per ascoltare un’opera poco rappresentata ma soprattutto per assistere al debutto di Yolanda Auyanet nel ruolo del titolo. Strana quest’opera, la settima di Verdi.. L’ho ascoltata molti anni fa a Genova e confesso che mi recai a teatro molto impreparato. Conoscevo solo la Sinfonia ed avevo ascoltato un paio di volte l’aria di Giovanna “O fatidica foresta”. Non ne ebbi una grande impressione. Tra l’altro protagonista del tutto inadeguata era Mariella Devia. Ricordo che tutti a teatro si chiedevano il perché di questa scelta da parte del grande soprano, scelta infelice in quanto anche se la scrittura vocale del ruolo è si assolutamente belcantistica e spinge spesso la voce in acuto ha però bisogno di un corpo centrale e grave molto consistente, cosa che i soprani di quell’estrazione difficilmente hanno. Insomma, l’opera non mi colpì per nulla, la trovai slegata, con una trama sconclusionata e rimasi in seguito perplesso leggendo che Verdi in una lettera a Francesco Maria Piave la considerava “il suo miglior lavoro senza eccezione e senza dubbio”. Non è di questo avviso la critica più recente che, senza condannarla, la relega in un posto non proprio di primo piano. La prima esecuzione ebbe comunque un discreto successo grazie anche all’interpretazione di Giovanna da parte di Erminia Frezzolini.
L’esecuzione di oggi era in forma di concerto. Io amo particolarmente questo tipo di scelta anche se l’opera lirica “ha bisogno” della scena ma, come dico sempre, piuttosto che assistere ai sempre più frequenti scempi e stupri di questo mio amato genere, meglio dedicarsi all’aspetto musicale e concentrarsi su quello.
I complessi dell’Opera di Marsiglia sono di discreta portata. Buona la prova del coro sotto la guida di Emmanuel Trenque. L’orchestra, un po’ slegata, era guidata da Roberto Rizzi Brignoli che si è limitato ad una lettura pulita ma nulla di più. A volte penso che certi direttori pensino che per far “vivere” al meglio le opere verdiane basti accelerare i tempi. Mah…la dinamica verdiana a mio avviso ha bisogno di ben altro. In ogni caso c’era una discreta intesa con i cantanti e questo è già tanto.
Carlo VII era Ramòn Vargas. Lo ricordo giovanissimo al Carlo Felice di Genova quale straordinario Nemorino accanto a Luciana Serra ed a Parigi più recentemente notevole protagonista ne “Les Contes d’Hoffmann”. Il tempo passa e la voce si è irrobustita. La sua prova è stata assolutamente convincente in questo ruolo che, come quello di Giovanna, risente ancora della scrittura donizettiana. La voce, omogenea e facile in tutti i registri, non denuncia segni di stanchezza ed il colore è sempre molto bello ed affascinante.
Sono rimasto molto colpito dal baritono Juan Jesùs Rodriguez. Non conoscevo assolutamente questo cantante spagnolo ed ho scoperto, cercando sue notizie, che è considerato oggi uno dei migliori baritoni per il repertorio verdiano. Grave mancanza da parte mia! Il ruolo di Giacomo, padre di Giovanna, è l’unico che, come scrittura, si spinge oltre quella che era la scrittura verdiana di quel momento e va a fare compagnia alle altre tanto amate figure paterne di Verdi; non ha ovviamente lo scavo psicologico di un Rigoletto ma riesce già ed emergere dal punto di vista del carattere. La vocalità di questo baritono è sorprendente. Quando ha aperto bocca ho addirittura pensato che fosse un basso forse perché ormai siamo abituati a baritoni che nella zona grave sono “vuoti”! Rodriguez offre una stupefacente omogeneità in tutti i registri e svetta in acuto come recentemente mi è capitato poco di ascoltare. Notevoli anche le qualità interpretative. Per me una vera sorpresa. Sono ancora perplesso per questa mia mancanza data la mia “fissazione” per l’opera…sto invecchiando! Spero di poterlo ascoltare ancora in futuro.
Veniamo a Yolanda Auyanet. Di questa cantante, che è anche una vera amica, potete leggere tutto su di un articolo che le ho interamente dedicato. Si eviti di pensare che ne parlo bene per questo motivo. Proprio agli amici io dico quello che penso altrimenti non sarei loro amico! La sua evoluzione vocale è stata notevole. Partita con un repertorio da lirico leggero, ma con un corpo vocale che faceva presagire altro, si è gradualmente ed intelligentemente mossa verso un repertorio totalmente lirico tendente al drammatico restando però sempre nell’ambito del belcanto e le sue recenti interpretazioni di Elisabetta nel Roberto Devereux donizettiano a Palermo e Siviglia ne sono la prova. La sua vocalità è ora perfetta per il ruolo di Giovanna. Gestisce tutta la gamma vocale con estrema disinvoltura e presenta una paletta di colori vastissima, il tutto unito alle sue ben note qualità interpretative. Ogni volta che l’ascolto, come le dico sempre, è una gioia per il cuore e per l’anima. Conto di poterla applaudire tante e tante volte ancora!
Il pubblico di Marsiglia ha accolto calorosamente questa produzione e tutti i suoi interpreti con applausi a scena aperta e ovazioni finali.
Consueti saluti finali agli interpreti che si sono dimostrati estremamente disponibili e gentili. Avrei parlato molto più a lungo con Yolanda ma spero che ci sia occasione in futuro.
Questa sarà purtroppo e probabilmente una delle mie ultime trasferte. Il costo della vita è terribilmente aumentato e bollette del gas da 935 euro non mi permetteranno più di viaggiare per ascoltare la mia amata opera. E’ molto triste ma è così. Ormai più che vivere sopravvivo. Tutto ciò mi rende molto triste perché l’opera e la musica e l’ascolto dal vivo sono per me linfa vitale ma…necessità fa virtù…così recita il noto proverbio! Ancora due trasferte , Lakmè a Montecarlo e Lucia a Nizza e poi…chissà…forse il nulla.
Scappata veloce a Milano per ascoltare una composizione immortale del Cigno di Busseto, la Messa da Requiem. Non scriverò nulla di specifico relativamente alla composizione perché tutto è già stato detto su di essa. La mia, al solito, vuole solo essere una cronaca di quanto ascoltato. Il preciso motivo d’interesse era la presenza fra i solisti di Anna Bonitatibus, “vecchia amica” e compagna di studi che ho ritrovato dopo vent’anni la scorsa estate ad Aix en Provence dove fu uno splendido Idamante nel mozartiano “Idomeneo”. Dopo aver letto un post di Anna dove sottolineava la volontà di Verdi di utilizzare per le voci delle dinamiche molto precise con molti “piano” e “pianissimo” ho preso lo spartito e non potuto far altro che verificare quanto da lei affermato. Ne abbiamo anche parlato dopo il concerto. Rimane una perplessità: perché chiedere alle voci sonorità così rarefatte quando le stesse voci si ritrovano inserite in sonorità orchestrali e corali di ben altra portata? Un mistero inspiegabile. Forse ci vorrebbe una via di mezzo dal punto di vista esecutivo ma Verdi, si sa, vie di mezzo non ne vuole quindi la tendenza generale è quasi sempre la scelta di votarsi all’urlo quasi si trattasse di repertorio verista.
Insieme al completo
Ieri, quindi, mi sono trovato di fronte ad una sorta di fritto misto per quanto riguarda l’esecuzione delle parti vocali. Il Maestro Claus Peter Flor che pure ha fornito, in generale, una lettura convincente della partitura, non è stato forse così capillare nelle indicazioni suggerite ai solisti che sembravano cantare spesso ognuno per conto proprio.
I quattro solisti
Nello specifico: l’unica ad aver fornito una prova superlativa è stata proprio Anna Bonitatibus. Risparmio ai soliti simpatici il commento malevolo: “Eh…ne parla bene perché é una sua amica…!”. Io non sono mai stato risparmiato da nessuno quando cantavo e, sempre per i “simpatici”, non si fa del bene agli amici parlandone bene a tutti i costi, proprio perchè sono amici. La sincerità è quella che tiene salde le amicizie, che per quanto mi riguarda, in questo ambiente sono molto poche. Terminato il sermoncino di spiegazione, per chi vuole intendere ovviamente, torno ad Anna Bonitatibus. Caparbiamente convinta di quanto affermato in precedenza ha fornito un’esecuzione che si distacca di molto da quelle da me ascoltate finora. Verdi ha scritto questo ed io devo cercare di fare questo sembrava essere il suo motto. E’ molto facile avendo una bella voce sbattere in faccia all’ascoltatore ignaro suoni “grassi” quasi a creare effetti che però non sono, a questo punto, quelli voluti dall’autore. Anna ha remato al contrario come voler dire: “La voce so di averla ma non è sufficiente per “dire” quello che l’autore ha voluto”. Esegue quindi un “Liber scriptus” veramente commovente senza avere l’acceleratore pigiato a tavoletta come spesso accade, senza gonfiare ed ingrossare i suoni come a voler affermare il tipo di vocalità. Tutti i suoi interventi sono stati eseguiti nel rispetto della partitura e delle altre voci evitando la solita gara: facciamo a chi urla di più! Come dico spesso: “Si impara sempre qualcosa” ed anche in questa circostanza è accaduto. Grazie Anna!
Anna Bonitatibus e Carmela Remigio
Un ottimo materiale vocale ha il giovane tenore catanese Valentino Buzza, che ha già al suo attivo un nutrito curriculum soprattutto nel repertorio barocco, ma questo a me non basta. Voce c’era, solo quella. Povertà di colori nell’esecuzione dell’ “Ingemisco” (e li le indicazioni dinamiche sono chiarissime). A tratti problemi di intonazione (una certa tendenza ad essere crescente) Mi direte: “Si fa come si può” oppure io suggerisco: “Se non si può non si fa”. Il repertorio dal quale potrà attingere è vastissimo e forse ci sono composizioni più adatte alle sue caratteristiche.
Onesta ma nulla di più la prova del basso Fabrizio Beggi da me già ascoltato a Genova anni fa quale pallido Ramfis in Aida. La voce c’é ma l’emissione è a tratti avventurosa. Spesso gli estremi acuti sono fissi e soprattutto una cosa: perché quando uno canta con la voce di basso deve sempre atteggiarsi come se fosse l’orco delle favole? “Guardatemi come sono cattivo! Io sono un basso, cosa credete?”. Speravo che questo tipo di cliché fosse ormai superato da tempo e soprattutto fosse evitato dai giovani…evidentemente non è così!
Valentino Buzza e Fabrizio Beggi
Vengo alla nota più dolente di questa esecuzione. Il soprano Carmela Remigio è affermata cantante in carriera già da molto tempo. Il timbro non è mai stato tra i più affascinanti ma, dal mio punto di vista, la cosa diventa irrilevante a patto che la voce sia gestita correttamente dal punto di vista tecnico. Purtroppo, oltre a non essere sorretta da un adeguato assetto tecnico, laddove ogni vocale sembra collocata in posti diversi con una pronuncia delle I e delle E a tratti imbarazzante, la voce risulta inesorabilmente usurata da scelte di repertorio avventate fatte durante la carriera, una per tutte quella di voler interpretare l’impervio ruolo di Norma. Ritrasmessa dalla Rai poco tempo fa la mostra, in totale inadeguatezza, porgere il fianco a tutte le difficoltà che il ruolo comporta e spesso le si legge nel volto il terrore provato (e in questo senso la televisione è spesso impietosa). Anche in questa occasione mostra una prima ottava “parlante” e totalmente inadeguata ad affrontare le frasi drammatiche che il compositore le affida. In acuto le cose non vanno meglio. Ogni acuto è forzato e soprattutto chiude la prima parte del “Libera me Domine” con un Sib al limite dell’urlo e tolto via con la velocità del lampo. Lascia addirittura diverse frasi dove si trova al raddoppio con i soprani del coro forse per arrivare al finale un poco più rilassata ma invano. Perché mi chiedo? Io credo e spero che lei sia assolutamente cosciente e, in tal caso, l’amor proprio dovrebbe fare il resto. Tornando al discorso di prima , se fossi un suo amico, non esiterei a parlarle in questo senso. E come già espresso in questo ambiente esistono solo gli adulatori o gli approfittatori. Gente sincera molto poca ahimé!
Ottima la prova del coro sotto la guida di Massimo Fiocchi Malaspina. Una bella tavolozza di colori. Potenza dove necessaria ma anche morbidezza di suono nei “piano” previsti. Buona anche la prova dell’Orchestra Sinfonica di Milano sotto la guida di Claus Peter Flor, direttore di cui non avevo alcuna contezza ma che, da curriculum, sembra operare fondamentalmente in teatri di area germanica e negli Stati Uniti.
Solisti, Direttore e Maestro del Coro
Piccola nota, in questo caso non polemica ma di colore: io credo di non aver mai trovato un’acustica così brutta come in questo auditorium che è, peraltro, la sede della stagione della Sinfonica di Milano. Le voci dei solisti, che pure erano collocati “davanti”, sembravano provenire da lontano e spesso erano sovrastate dalla massa sonora formata da coro ed orchestra. Certi strumenti risaltavano più di altri. Ho trovavo acustiche migliori in situazione all’aperto…ed è tutto dire.
Il manifesto
Contento comunque di esserci stato e di aver ascoltato dal vivo questa composizione monumentale, cosa che non accadeva da molti anni.
Anna Bonitatibus giustamente e seriamente “mascherata” avendo davanti altri quattro concerti a distanza ravvicinata! Meglio essere previdenti!
Un grazie, come sempre, per le fotografie agli amici Guido Palmieri ed Eugenio Osso. Io ho la videocamera del telefono mobile rotta pertanto non ne posso fare e, dati i costi delle bollette di gas ed energia elettrica che arrivano ed arriveranno, finché l’oggetto in questione non sarà letteralmente morto e sarò costretto a prenderne uno nuovo le fotografie non faranno più parte del mio operato. Va così, olè!!!
Come sempre spiego nel mio blog, i miei “viaggi operistici” hanno una motivazione precisa. In questo caso ero riuscito ad unire un po’ di cose e situazioni: ascoltare Lisette Oropesa, un soprano che amo molto, al suo debutto nel ruolo di Elvira; ascoltare nuovamente Xabier Anduaga, un giovanissimo tenore che già al primo ascolto mi aveva impressionato molto; visitare Napoli e vedere finalmente per la prima volta il Teatro di San Carlo citato da tutti come il più bel teatro italiano di tradizione. Per tutto questo ho preso il biglietto esattamente un anno fa. Non è da me programmare le cose così a lungo termine ma era l’unica soluzione per avere un buon posto ad un costo accettabile.
Consueta foto davanti al manifesto
Il viaggio è però iniziato nel peggiore dei modi. Partenza il 15 sera. Aereo (per una volta da Genova!) con tre ore e venti minuti di ritardo. Già se fosse stato in orario sarebbe stato un piccolo problema in quanto l’atterraggio era previsto a Napoli alle 22,30 (scelta fatta per sfruttare 16 e andare in giro per la città. Meno male che il proprietario del B&B dove alloggiavo si è offerto gentilmente di venirmi a prendere all’aeroporto in quanto a quell’ora sarebbe stato difficile recuperare anche un taxi e quando si è in una città che non si conosce tutto diventa più complicato. Anche il meteo non era molto favorevole ma almeno quello fortunatamente mi ha graziato dandomi così la possibilità di girare un po’ senza dover aprire l’ombrello.
Il Vesuvio
La città mi ha impressionato molto. E’ evidente che è un gran pezzo di storia del nostro Paese. Bellezze artistiche ed archeologiche in ogni dove. Purtroppo, avendo poco tempo a disposizione, ho dovuto fare delle scelte ma, non è detto, magari tornerò per approfondire. La mia impressione, forse un po’ frettolosa, è quella di una città piena di contraddizioni, cosa che si può rilevare nelle grandi città; stessa impressione mi fece Palermo dove però ebbi molto tempo per averne un’idea più precisa. Per quello che è il mio grado di sopportabilità attuale, data l’età, a Napoli il caos è veramente insostenibile. Per chi ci è nato è sicuramente l’abitudine ed é irrilevante ma per chi viene da fuori e non è abituato a ciò non lo è. Ma questo è un problema mio che non va ad intaccare la bellezza ed il grande valore di questa città.
Piazza PlebiscitoIl Maschio AngioinoLa Galleria Umberto ILa Pizza di Michele (immancabile!)
L’incontro con il Teatro San Carlo è stato emozionante. Solo un altro teatro in Italia mi ha fatto questa impressione ed è la Fenice di Venezia (dove avevo anche sostenuto un’audizione prima dell’incendio). I colori dell’affresco sul soffitto, le decorazioni, l’illuminazione…da rimanere attoniti. E’ come essere catapultati in un’altra epoca…quella dei miei sogni, dove forse avrei voluto vivere. L’acustica è impressionante. Chi fa musica li è sicuramente un privilegiato.
EsternoInternoSoffittoPalco RealeParticolariDalla mia postazione
Arrivo all’opera a cui ho assistito. Alla partenza doveva essere una produzione in forma scenica e l’allestimento scelto era quello del Teatro Real di Madrid ma, durante l’anno, si é trasformata in una produzione in forma di concerto cosa che, dati i tempi non mi é dispiaciuta affatto. Come dico sempre: piuttosto che vedere un allestimento osceno e irrispettoso dell’opera stessa preferisco sentire un concerto e dedicarmi alla musica ed alle voci. La motivazione di questo cambio fornitami dalla Oropesa, quando ad aprile scorso sono stato a Vienna per ascoltarla in Lucia, è legata alla pochezza dei giorni di prove, insufficienti per arrivare ad un buon risultato in palcoscenico.
Lisette Oropesa
La scelta musicale è caduta su una versione particolare e abbastanza completa con in più, rispetto allo spartito corrente, un bellissimo terzetto fra Arturo, Riccardo ed Enrichetta che impegna maggiormente il tenore (semmai ce ne fosse stato bisogno!), una parte centrale del duetto del terzo atto fra Arturo ed Elvira (che si trova nella versione Malibran) ed il rondo finale “Ah, sento o mio bell’angelo” qui interpretato dalla sola Elvira. Un piacere per le mie orecchie dato che “I Puritani è una delle mie opera del cuore”.
Applausi finali
Ed ora le voci. Partiamo dai “motivi” della mia trasferta. Lisette Oropesa, al debutto nel ruolo di Elvira, ruolo su cui ha lavorato molto e debutto (finalmente!) tanto desiderato. La Oropesa si conferma oggi come uno dei soprani di riferimento nel repertorio belcantistico. Il suo assetto tecnico le permette di gestire con estrema facilità tutte le difficoltà che questo ruolo comporta. Centra perfettamente il carattere del personaggio e non ne fa una giovane piagnucolosa come spesso avviene. La famosa “Vergin vezzosa” non è solo un esercizio virtuosistico ma comunica la gioia e l’emozione della giovane Elvira per le sue prossime nozze. La scena di pazzia è risolta con una venatura malinconica nella voce durante l’aria che mi ha portato alle lacrime. Risolve con decisione la cabaletta portando il pubblico ad una vera e propria ovazione. Stessa emozione nella voce nel duetto con Arturo ed exploit finale con una brillantissima esecuzione del Rondo. Il ruolo di Elvira, al di la delle difficoltà esecutive dal punto di vista tecnico vocale è uno tra i più complessi dal punto di vista interpretativo. Questo continuo altalenare di emozioni è molto difficile da gestire e la Oropesa esce vittoriosa da questo cimento. Spero di poter andare la prossima stagione alla Scala per la sua Lucia (credo in una edizione critica), opera che avrebbe dovuto inaugurare la stagione saltata per la pandemia. Grazie Lisette per le emozioni che ci regali ogni volta!
Primo abitoSecondo abitoTerzo abitoQuarto abito!
Xabier Anduaga è un giovanissimo tenore che, se farà scelte di repertorio giuste, ci riserverà bellissime sorprese. La voce, ben gestita tecnicamente, ha un timbro affascinante. Affronta acuti e sopracuti con una facilità impressionante come pure i piani ed i pianissimi. E’ un Arturo giovane e baldanzoso. Sarò felicissimo se avrò altre occasioni per poterlo ascoltare ed assistere alla sua crescita ed ascesa nella sua carriera. Bravissimo!
Xavier Anduaga
Note meno felici per il resto del cast. Il baritono (?) Davide Luciano, nel ruolo di Riccardo, presenta un assetto vocale curioso. A tratti sembra una voce impostata e a tratti sembra una voce naturale priva di imposto quasi da cantante di musica leggera. Manca soprattutto una cosa che in Bellini è indispensabile: il legato. Canta comunque bene e con gusto ma per quelli che sono i miei parametri ed i miei gusti è troppo poco, soprattutto se parliamo di teatri e produzioni di serie A.
Davide Luciano
Gianluca Buratto, che sostituisce il previsto dal cast originale Alexandros Stavrakakis (che sarebbe stato un altro motivo di interesse), nel bellissimo ruolo di Giorgio si dimostra un cantante dalla tecnica avventurosa vedi i Mi naturali strozzati in gola nel duetto con Elvira (ma qualcuno gli ha spiegato che esiste il passaggio di registro?). Il volume dello strumento è notevole anche se tutto è un po’ urlato. Il timbro non è accattivante. Generico interpretativamente in un ruolo che offre mille possibilità per farne qualcosa di unico. Peccato. Occasione persa. Piccola nota polemica: ma perché fare il Bis di “Suoni la tromba” se tutti e due erano già distrutti alla fine della prima volta ed omettere ed accennare così molte frasi? Che senso ha?
Gianluca Buratto
Chiara Tirotta nell’ingrato ruolo di Enrichetta di Francia presenta un timbro gradevole ma una voce talmente priva di proiezione che, nonostante la mia splendida posizione e l’acustica perfetta del teatro, era letteralmente sovrastata dall’orchestra.
Chiara Tirotta
Di routine Nicolò Donini quale Gualtiero Walton ed invece molto bene Saverio Fiore come Sir Bruno Robertson. Saverio, con il quale ho avuto il piacere di condividere molte recile de La Boheme in Molise anni fa presenta una voce dal bellissimo timbro ed una intelligenza interpretativa che gli permette di dare il giusto senso anche a piccoli ruoli come questo.
Saverio Fiore e Nicolò Donini
Mi è piaciuta la direzione di Giacomo Sagripanti alla guida dell’ottima orchestra del San Carlo. E’ la prima volta che vedo al lavoro questo giovane direttore. Gesto sicuro ed ottime intenzioni interpretative. Tempi adeguati che in Bellini vengono spesso travisati. La melodia belliniana, se non affrontata adeguatamente, può risultare improvvisamente noiosa. Spero di sentire ancora opere dirette da lui, magari in un altro tipo di repertorio.
Giacomo Sagripanti
Ottima anche la prestazione del coro sotto la guida di José Luis Basso.
Consueta attesa dei cantanti per un saluto. Lisette è sempre carina e sorridente con tutti nonostante potrebbe avere i suoi motivi per essere stanca dopo un impegno simile ma, nonostante ciò, ha sempre una parola gentile per tutti e si presta alle richieste di autografi e fotografie delle numerose persone presenti.
Con Lisette Oropesa
Stessa gentilezza da parte di Xabier Anduaga che, anche lui, sembra non risentire del grande impegno appena assolto.
Con Xavier Anduaga
Non so quali e quanti ascolti mi riserverà il futuro anche perché, date le oggettive difficoltà che stiamo vivendo, muoversi, dati i costi, mi sarà sempre più difficile…vedremo! Felice comunque di aver ascoltato ancora una volta dal vivo una delle opere che amo di più e soprattutto di aver ascoltato Lisette in questo suo debutto. Grazie a Guido Palmieri sempre in prima linea per le fotografie “da vicino”…le mie sono sempre difficoltose! Grazie ad Eugenio Osso per le foto “in esterno” Next!
Serata da ricordare per molti motivi. Partiamo da quelli buoni. Concerto straordinario con due musicisti eccezionali, il soprano lituano Asmik Grigorian ed il pianista russo Lukas Geniušas. Programma diviso a metà comprendente nella prima parte liriche di Čajkovskij e nella seconda liriche di Rachmaninov. Singolare la carriera della Grigorian che, partita giovanissima con un repertorio forse troppo oneroso per la sua voce, si era vista costretta a fermarsi per fare un passo indietro ed un recupero vocale. Lei stessa racconta spesso nelle interviste questo suo percorso a favore dei giovani. La sua raccomandazione è: “Se si hanno vicino persone che possono consigliarvi per il meglio ascoltatele!”. Lei, con due genitori famosi cantanti, volle fare di testa sua bruciando certamente le tappe ma trovandosi poi con problemi che fortunatamente e con il loro aiuto è riuscita a risolvere ed oggi è un soprano tra i più importanti nel mondo. Ho seguito il Trittico pucciniano in streaming dal recente Festival di Salisburgo dove lei interpretava tutti e tre i ruoli femminili e devo dire che è stata straordinaria in tutto ma posso affermare senza possibili smentite che la sua Suor Angelica raggiunge vette difficilmente raggiunte da sue colleghe in questi ultimi anni. Personalmente, dopo Renata Scotto, ritengo che sia la più commovente Suor Angelica da me ascoltata ed anche la più solida vocalmente. Nel repertorio proposto alla Scala la Grigorian gioca in casa. Pëtr il’ič Čajkovskij era un compositore attento a quello che succedeva nell’Europa musicale contrariamente ad altri compositori russi dell’epoca che lamentavano l’impossibilità di affermare una musica ed uno stile che avesse radici ed inflessioni autoctone. In questo tipo di composizioni il suo modello era il lied tedesco adattato alla lingua russa ed alla melodia slava. Il pianoforte come nel lied tedesco non ha una mera funzione di accompagnamento ma dialoga sempre con la voce. L’amore per questo genere è manifesto ed evidente in lui. Stesso discorso, in questo senso, vale per Sergej Vasil’evič Rachmaninov; il genere per voce e pianoforte fu per lui un grande amore che durò nel tempo e mai interrotto. I brani eseguiti in questo concerto seguono un ordine cronologico a partire da quelli scritti quando ancora era studente fino ad un periodo più maturo. Tra gli altri uno che amo particolarmente, “Non cantare per me bellezza mia” su testo di Puskin con un preludio pianistico intriso di malinconia assolutamente geniale ed il pianoforte che, all’ingresso della voce, si trasforma quasi in arpa. La melodia è sicuramente ispirata al folklore orientaleggiante georgiano. La Grigorian, dal punto di vista vocale, è assolutamente a suo agio in tutta la tessitura proponendo un timbro caldo e seducente; gestisce piani e pianissimi in tutta la gamma ed ha capacità comunicative ed interpretative veramente eccezionali. Non si fa fatica ad innamorarsi di lei.
Altrettanto straordinario è il giovane pianista moscovita Lukas Geniušas, premiato ancora giovanissimo a prestigiosi concorsi internazionali quali il Concorso Chopin di Varsavia ed il concorso Čajkovskij di Mosca. Il tocco è straordinario ed attraverso una tecnica prodigiosa passa da pianissimi veramente impalpabili a sonorità tali da riempire la sala del Piermarini Tra l’altro nella parte dedicata a Čajkovskij ha eseguito anche dei brani solistici di notevole interesse quali la Romanza in fa minore op.5, lo Scherzo Humoristique op.19 n.2 e Dunka indo minore op.59. L’intesa fra i due è perfetta. Tutto funziona alla perfezione senza che i due si scambino nemmeno un cenno. Tra l’altro hanno inciso insieme un CD dedicato a Rachmaninov comprendente molte delle liriche eseguite in questo concerto. Al termine grandi ovazioni e quattro bis sempre di liriche di Rachmaninov che hanno completato la serata.
Applausi finali
Passiamo alle cose negative. Compro come di consuetudine il programma di sala che subito sfoglio distrattamente. Nell’intervallo gli occhi mi cadono sulla copertina e con orrore mi accorgo che la signora Grigorian viene citata come “basso”!!! Per un teatro come la Scala è una svista inaccettabile; è una cosa della quale il responsabile dovrebbe veramente vergognarsi ma già La Scala non è più “La Scala” da tempo. Il servizio delle “maschere” è penosissimo. Un gruppo di ragazzotti “scappati di casa” che invece di controllare cosa succede in sala e rimproverare il solito pubblico di maleducati che ne fa di ogni (per esempio entrare ed uscire durante il concerto ed altre amenità) stanno appoggiati al muro con il cellulare in mano spedendo massaggi o addirittura giocando per far passare il tempo. Non basta il medaglione al collo. Le maschere, quando ero giovane, erano persone distinte ed educate che davano un tocco di eleganza al teatro che, ricordiamolo, è uno dei più importanti teatri d’opera del mondo! Arrivi su alle gallerie e ti permetti di chiedere il programma. Per carità!!! Ti guardano con uno sguardo di totale “scazzo” dicendoti: “E un attimo! Dobbiamo ancora andare a prenderli!!!”. Scusate il disturbo ma…prepararli prima dell’apertura al pubblico??? Anche La Scala è diventato un teatro alla stregua di tutti gli altri. Quella che era l’eccellenza di una volta è ormai un sogno.
All’uscita molte persone ad aspettare i due artisti. Devo dire che il pianista è stato discretamente maleducato. E’ uscito mentre parlava al cellulare ed ha dribblato tutti molto sorpresi di questo atteggiamento ma io, implacabile, l’ho rincorso per fargli almeno firmare il CD ed il programma, cosa che ha fatto continuando a camminare. Il pubblico va rispettato. La gente è li, paga, ti applaude, il minimo è almeno fare due autografi.
Di tutt’altra pasta la Grigorian, molto disponibile e gentile. Non era a conoscenza dello svarione sul programma e quando gliel’ho mostrato è scoppiata in una risata fragorosa, ha preso il cellulare e l’ha fotografato poi mi ha detto: “Ah…è per questo che stasera mi sentivo così comoda!!!” Spiritosissima. Una diva alternativa! Abito insolito per un concerto, corto (vedi foto) ed arricchito (!) nella seconda parte da un corpetto nero. All’uscita una maglietta maniche corte con strana stampa, camicia a quadri aperta, jeans e gonna lunga di tulle allacciata in vita. Simpaticissima. Anche Lukas Geniusas assolutamente informale aveva una camicia a disegni neri e bianchi che sapeva poco di “concerto alla Scala”. I due erano anche in questo in perfetta sintonia! Stupenda serata che mi fa apprezzare sempre di più i concerti piuttosto che assistere ad orrendi spettacoli d’opera! La prossima volta “dovrei” scrivere da Napoli. La Oropesa debutta Elvira nei Puritani. Immancabile!
La simpaticissima Grigorian all’uscita degli artisti!Tradizione.o
Programma di sala della stagione 2022L’affascinante spettacolo dell’Arena appena aperti i cancelli.La Magia dell’Arena
Quest’anno L’Arena è tornata ai suoi fasti scenografici grazie alla cessazione delle limitazioni legate alla pandemia e grazie a Cecilia Gasdia, attuale sovrintendente che, con grande lungimiranza ha capito che il pubblico, soprattutto in Arena vuole il “grande spettacolo”! Era comunque ottima, a mio avviso, anche la scelta dello scorso anno di usare un sistema di proiezioni atte a non avere troppe persone in scena a dover manovrare le imponenti scenografie e sistemando il coro sulle gradinate utilizzando solo comparse “tamponate” in scena. Riprendere le scenografie di Zeffirelli è stata una “genialata” eccezionale. Gli occhi si riempiono di meraviglia davanti ad una Pechino fiabesca e dorata e ad una Siviglia ricca di colori e personaggi di ogni genere. Resti attonito davanti a tanta bellezza. Per non parlare dei costumi di Anna Anni per Carmen e Emi Wada per Turandot. In una intervista sul Corriere della Sera fatta recentemente a Ludovic Tezier, tra gli interpreti quest’anno di Germont padre in quella Traviata che fu l’ultima produzione di Zeffirelli poco prima della sua morte, il cantante contesta apertamente le attuali produzioni d’opera portando ad esempio l’esperienza del figlio che, vista Traviata a Parigi, disse al padre di non aver capito nulla dell’argomento e di essersi illuminato a Verona in occasione della produzione zeffirelliana. Io sono convinto, come già più volte ho detto, che con il tempo necessario ci sarà un ritorno a tutto ciò. L’opera è un genere immortale che deve essere lasciato in pace! L’opera deve essere rappresentata per come è nata ed i teatri devono smettere di scritturare queste “pazze scatenate” che riversano sui palcoscenici di mezzo mondo quintali di spazzatura visiva ed usano tutto ciò per cercare di risolvere problemi personali che nemmeno il miglior psicologo riuscirebbe a risolvere.
Turandot Secondo AttoCarmen Primo AttoCarmen Secondo Atto
Adesso passo al secondo elemento che, come il primo, unisce tutte e due le produzioni. Marco Armiliato alla direzione d’orchestra. Marco ed io ci conosciamo da molto giovani. Ricordo un concerto con lui al pianoforte (straordinario anche in quello) nel 1988 al paese natale del baritono Alberto Mastromarino dopo il Concorso Battistini dove, durante la prova che facemmo poco prima della serata, si ruppe improvvisamente lo sgabello dove era seduto facendogli rimanere una mano (o tutte e due, non ricordo il particolare) schiacciata tra la seduta e la struttura. Ghiaccio a volontà (e meno male che non ci fu nulla di rotto) e via andare. Suonò lo stesso tra dolori lancinanti! Un mito! Marco è un grande direttore ed ha un particolare che a molti manca: ama l’opera! Lo si capisce da come non uccide i cantanti durante le arie, anzi, quasi li coccola! Ho parlato con molti colleghi che hanno cantato sotto la sua bacchetta e da tutti ho avuto la stessa impressione. Tutto diventa facile. Dirigere l’opera in Arena non è proprio una passeggiata date le dimensioni di…tutto. Lui riesce con facilità e con un gesto assolutamente preciso e chiaro a gestire palcoscenico e buca nonostante, ripeto, la quantità di persone con cui ha a che fare. Il coro sempre a tempo, anche in un’opera come Carmen che, soprattutto nel primo atto presenta difficoltà che a volte in un teatro chiuso non vengono risolte. Riesce anche, a dispetto di un’acustica che negli anni a mio avviso è peggiorata, a creare una varietà di colori incredibile e gestisce volumi di suono sempre nel rispetto delle voci. Così si dirige l’opera! Bravo Marco, avanti così! Ogni volta incontrarlo è una gioia. Ci intratteniamo in conversazione come se ci fossimo visti il giorno prima. Grazie per la tua amicizia!
Marco Armiliato
Passo ora al cast di ogni produzione. Come scrivo sempre non mi muovo mai a caso, anche perché oggi spostarsi costa e devo quindi fare sempre attenzione alle scelte che faccio. In questo caso i motivi (parlo dei cantanti) erano tre: Anna Netrebko, Elina Garança e Maria Teresa Leva.
Partiamo da Turandot. Cast discretamente omogeneo. Sono dolente, ahimè, per i detrattori ma Anna Netrebko si riconferma come quella grande fuoriclasse che è! Canta un trasognato “In questa reggia” incurante delle ben note difficoltà che questa aria presenta. Sale agli estremi acuti con un’insolenza quasi imbarazzante. Smorza i finali di frase nella scena degli enigmi laddove altre cantanti sono già morte dopo il primo. Sottilmente ed evidentemente presente anche dal punto di vista scenico in un ruolo che di regola risulta sempre, o per volere del regista o per scelta dell’interprete, discretamente statico. Grande ammirazione quindi da parte mia per la cantante e per l’interprete.
Anna Netrebko agli applausi finali.
Nel ruolo di Calaf il tenore Yusif Eyvazov mostra, come tutte le volte in cui l’ho ascoltato, una grande attenzione alla definizione del personaggio manifestando notevoli qualità interpretative. Dal punto di vista vocale non presenta cedimenti di alcun tipo e regala, a furor di popolo, il bis di “Nessun dorma”, cantato anche più intensamente della prima volta con l’acuto tenuto più a lungo di quanto io non possa ricordare in questi ultimi decenni. Si arriccia il naso sul timbro? A me poco importa. Il timbro te lo da la natura. Conosco tenori dal timbro bellissimo ed affascinante che hanno qualità interpretative pari ad un carciofo lesso! Meglio un timbro poco affascinante ma un interprete ed un cantante notevole. Bravo!
Yusif Eyvazov
Liù era la giovane Ruth Iniesta. Il timbro, anche in questo caso, non è dei più affascinanti ma l’interprete ne esce vincente: commuove e si commuove in un ruolo dove Puccini, a mio avviso, ha superato se stesso nel descrivere “la forza dell’amore”! La voce è utilizzata al meglio e non si sottrae ai pianissimi che gli appassionati aspettano sulla parola “sorriso” ed al termine di “Signore ascolta”. Mi è piaciuta assai!
Ruth Iniesta
Timur era il giovane ed interessantissimo basso Riccardo Fassi da me già ascoltato, sempre in Arena anni fa, come Ferrando nel Trovatore. Confermo quanto da me già scritto. Questo giovane promette assai bene. Voce importante e ben proiettata. Buon interprete. Gli auguro di proseguire su questa strada perché sono certo che avrà in futuro grandi soddisfazioni.
Riccardo Fassi
Molto bene il terzetto delle Maschere: Ping, Gëzim Myshketa; Pang, Riccardo Rados e Pong, Matteo Mezzaro. Bravi sia dal punto di vista vocale e musicale e sia da quello scenico. Questi, che sembrano ruoli secondari, sono invece estremamente difficili, hanno bisogno di grande affiatamento ed hanno, come si suol dire, la fregatura sempre pronta dietro l’angolo. Bravi!
L’Imperatore era era “l’Asso piglia tutto” Carlo Bosi. In Arena non sanno più cosa affidargli…è ovunque. Il cantante toscano garantisce comunque sempre un buon standard esecutivo in ogni ruolo da lui interpretato.
Carmen. Purtroppo la sera dell’11, giusto a tre secondi dell’aria di Micaela, una perturbazione insistente ha impedito di arrivare al termine della rappresentazione lasciando l’amaro in bocca al pubblico presente. Per bontà della Fondazione Arena di Verona c’è stata una ricollocazione dei posti per la recita del 14 con lo stesso cast quindi, da bravi appassionati, abbiamo deciso di tornare facendo un bel viaggetto di tre ore di andata più tre ore di ritorno. Partiti dopo aver salutato gli interpreti ed arrivati a casa alle 4 del mattino ma…ne valeva la pena.
Carmen Quarto Atto
Carmen era Elina Garanca. Conosco questa bravissima cantante da quando, quasi sconosciuta, fu scelta per Adalgisa da Edita Gruberova per la sua incisione di Norma. L’opera, registrata a Baden Baden prevedeva anche l’esecuzione di due recite in forma di concerto…secondo voi potevo non assistere al debutto europeo nel ruolo belliniano della Gruberova? Impossibile. Questa occasione mi fece conoscere così la Garanca. Cito sempre mia figlia perché lei è la mia “cartina di tornasole”. Assolutamente competente ed esigente, appena aperta la bocca su “Sgombra è la sacra selva” mi disse: “Ma da dove esce???”. Stessa cosa che successe a Vienna con la Stoyanova. In seguito la ascoltai come Seymour nella Bolena a Barcellona facendomela collocare tra le interpreti belcantistiche di riferimento ai nostri tempi. La curiosità di ascoltarla in Carmen era grande anche perché ricordo un critico americano che, al debutto nel ruolo al Met, scrisse: “Ieri sera è nevicato a Siviglia!” per sottolineare, a suo avviso, la freddezza dell’interprete. Dico la mia. Quel signore non ha capito nulla. Dagli anni Quaranta agli anni Sessanta ci siamo ahimè abituati ad un cliché errato relativamente a questo personaggio. Questa non è un’opera verista!!! Ha la struttura dell’ Opera Comique. Carmen non è una “bugaisce ai troggi” (lavandaia ai lavatoi per citare il mio amato genovese!), non è una donnaccia da trivio, non è una prostituta. E’ una donna che ha deciso di vivere la sua vita in libertà! Lo dice anche nel finale: “Carmen è nata libera e libera morrà”! La Garanca offre un’interpretazione vocale, musicale e scenica di un’eleganza senza pari. Il suo timbro meraviglioso suona nella grande Arena come un qualcosa di miracoloso. Ho veramente adorato la sua interpretazione raffinata. La “scena delle carte” mi ha commosso come mai mi era capitato on quest’opera facendomi piangere e creando così problemi alle lenti a contatto! Persona gentile e simpatica. Al mio amico Guido Palmieri che le ha fatto presente che eravamo tornati per poter assistere all’intera rappresentazione ha risposto: “Siete tornati per vedermi morire?”. Decisamente ironica! Adorabile!
Elina Garanča
Micaela era Maria Teresa Leva. Amo questa cantante dalla prima volta in cui la ascoltai a Genova in Aida. Premesso che Micaela è un ruolo che non mi è mai piaciuto, soprattutto per il carattere, Maria Teresa con la sua interpretazione vocale e scenica, le ha ridato la dignità distaccandosi dai clichè che la vedono una povera cretina piagnucolosa e trasformandola in una donna innamorata e decisa nel suo andare a recuperare quell’ “impedito” di Don José per riportarlo dalla madre morente. Non ho alcun dubbio nell’affermare che è e sarà il soprano italiano dell’ “epoca operistica” che stiamo vivendo che sempre più mostra alla ribalta “ciofeche vocali” che vivono solo per il potere delle agenzie. La voce è sempre più bella, colori a non finire; pianissimi da brivido! Brava! Ci siamo dati appuntamento a gennaio a Genova per “Un Ballo in Maschera”.
Maria Teresa Leva
Don José era il tenore statunitense Brian Jadge. Ho scoperto avere anche lui parecchi detrattori. Certo, per il melomane supponente, se uno è bravo bisogna massacrarlo! Così si dimostra la competenza! “Poraccialloro”, come dice una mia cugina fiorentina! Timbro seducente, ottima proiezione unita ad un volume notevole (difficile altrimenti farsi sentire in Arena!), qualità interpretative e sceniche eccellenti! Io, francamente di più non posso chiedere. Lo avevo ascoltato a Barcellona come Enzo ne “La Gioconda” e già ne avevo avuto un’ottima impressione, confermata da questo Don José. Spero di poterlo ascoltare ancora!
Brian Jadge
Escamillo era Claudio Sgura. Questo ruolo che, con la sua aria, fa un po’ da asso pigliatutto, in verità non offre molte occasioni per emergere dal punto di vista interpretativo. Sgura interpreta un Escamillo classico e nella tradizione (ditemi poco). La sua voce non ha problemi di volume in Arena e si permette anche sfumature nel piano nel duettino del quarto atto. Mi piacerebbe ascoltarlo in qualche ruolo più impegnativo. Capiterà!
Claudio Sgura
Nella sufficienza globalmente le due amiche di Carmen, Daniela Cappiello (Frasquita) e Sofia Koberidze (Mercedes). Peccato che la Cappiello sia totalmente insufficiente a livello di volume quindi, sia nel quintetto, sia nella scena del terzo atto fa perdere la bellezza delle frasi in acuto che contraddistinguono questo ruolo.
Daniela Cappiello Sofia Koberidze
Dancairo e Remendado erano il vociante Nicolò Ceriani (altro cantante presente in diverse produzioni) e, come detto prima, l’onnipresente Carlo Bosi.
Nicoló Ceriani. Carlo Bosi
Completavano il cast Gabriele Sagona dalla bella voce di basso come Zuniga (peccato la bocca storta quando canta, cosa visibilissima in televisione) e Biagio Pizzutti come Morales.
Biagio Pizzuti. Gabriele Sagona
Un plauso all’Orchestra ed al Coro della Fondazione Arena di Verona diretto da Ulisse Trabacchin, al Coro delle Voci bianche diretto da Paolo Facincani, a tutti i tecnici impegnati nel cambio delle imponenti scene (é sempre interessante assistere a questi cambi scena durante gli intervalli) e alla straordinaria partecipazione della Compañia Antonio Gades che, sempre presenti sul palco, hanno intrattennuto il pubblico con strepitose esibizioni nel cambio scena tra il terzo ed il quarto atto!
Coro dell’Arena di Verona
Al termine, sia di Turandot, sia di Carmen grandi applausi per tutti.
Turandot applausi finali Carmen Applausi finali
Consueti saluti agli interpreti. Quest’anno anche Anna Netrebko si è concessa rispetto ad altre volte. Forse sta iniziando a capire che il pubblico va trattato bene!
Anna NetrebkoYusif EyvazovRuth IniestaMarco Armiliato. Scattata l’11 e firmata il 14Elina Garança Scattata l’11 e firmata il 14Brian Jadge. Scattata a Barcellona e firmata l’11Maria Teresa LevaCuscino salva fondo schiena (in Arena è fondamentale!) fatto firmare dal mio amico Eugenio Osso
Eccomi tornare ad Aix dopo la sciagurata Ariadne straussiana del 2018 (vedi articolo). Il solo ricordare quello spettacolo agghiacciante mi mette i brividi. Meno male che il versante musicale salvò la situazione! Il Festival di Aix en Provence, da un po’ di anni a questa parte, ospita l’avanguardia registica dell’ultima ora che, ovviamente, propone spettacoli trasgressivi che, puntualmente vengono accolti dal pubblico con sonore bordate di fischi! Sono sicuro che arriveremo ad un ritorno al bello ed alla tradizione…io forse non lo vedrò ma ci arriveremo perché la gente è stufa, e passare anche l’idea che queste robacce portino pubblico giovane all’opera è una balla colossale! I giovani devono conoscere l’opera per quella che è la sua essenza, la sua storia…questo l’ho scritto più volte ma non mi stanco mai di ribadirlo.
Il Théatre de l’Archevêché che ospita parte delle manifestazioni del Festival
Quello che mi attira ad Aix sono spesso i cast. Chi sta alla direzione artistica non è proprio stupido…un colpo di qua ed un colpo di là: ti propongo uno spettacolo di “spazzatura di alto livello” e con interpreti di prima grandezza, così ti tappi naso e occhi e…vai!
Interno del Teatro
Quest’anno ho vissuto due serate completamente diverse. Parto dalla prima. Idomeneo Re di Creta di Mozart. La domanda cretina che spesso ti viene fatta è: “Quale è il compositore che preferisci…?”. Confesso che me lo sono chiesto spesso anche io; anche se la risposta è improbabile io penso che per me Mozart sia al primo posto forse perché, avendolo ascoltato molto e studiato, prima pianisticamente e poi cantato parecchio, ho potuto apprezzarne tutti gli aspetti sia da ascoltatore sia da esecutore. Idomeneo è un’opera difficilissima da eseguire e da rappresentare. Si differenzia dalle opere serie precedenti in quanto utilizza lunghi recitativi accompagnati che spesso sono collegati alle arie senza permettere una vera e propria chiusura delle stesse e qui mi viene da pensare che, in realtà, Wagner non abbia inventato nulla: la concezione di continuità e “non interruzione” si trova benissimo espressa già in quest’opera che comprende arie tra le più belle del repertorio operistico mozartiano precedente la trilogia Da Ponte. Rispetto poi alle opere serie precedenti vede anche l’utilizzo di forme insolite come l’aria di Elettra con il coro, un quartetto, un terzetto e cori.
Applausi finali
Questa edizione vede, sul versante dello spettacolo la regia Satoshi Miyagi. Il suo staff per quanto riguarda scene, costumi, luci e coreografie è, ovviamente. tutto giapponese. Devo dire che lo spettacolo non mi è dispiaciuto, anche se alla fine il regista è stato accolto da sonori fischi e buuu… Come ho scritto l’opera presenta grandi difficoltà rappresentative in quanto la staticità della forma lascia poco spazio alle idee registiche o forse ne lascia troppo…dipende dai punti di vista. Miyagi opta per la staticità per quanto riguarda i personaggi che esprimono la loro solitudine e il piegarsi al potere (Idomeneo) isolati su specie di solidi geometrici che, mossi da figuranti che stanno al loro interno, ruotano intorno a lui e vanno a formare altre strutture . L’espressione dei personaggi è sempre volta verso il pubblico quasi a coinvolgerlo in questo loro stato. Il coro veste divise militari che ricordano quelle dei giapponesi indossate nella seconda guerra mondiale. Ovviamente non possono mancare riferimenti alla situazione mondiale attuale. Anna Bonitatibus (Idamante) alla fine ha confermato ed ha specificato meglio questa mia interpretazione. Già, dati i tempi, sono contento di aver almeno centrato l’aspetto “solitudine”! I costumi dei personaggi sono di foggia assolutamente giapponese. Faceva un po’ effetto una sorta di frangia che sembrava un prolungamento delle mani nel costume di Elettra. L’impressione era quella di vedere una sorta di Butterfly impazzita. In ogni caso non c’era nulla che andasse contro la musica e questo è già un miracolo. Unica caduta di gusto, a mio avviso, la voce di Nettuno rappresentata da un grammofono anni ’50, quelli, per capirci, che erano anche una radio ed in cima si aprivano ed avevano il giradischi…di questo non ho trovato una spiegazione.
Satoshi Miyagi
La parte musicale è stata un miracolo. Raphaël Pichon alla guida del suo ormai consolidato gruppo Pygmalion è riuscito, con la collaborazione totale dei cantanti, ad ottenere un’unità di intenti che poche volte ho trovato in teatro. Sembrava tutto un’unica cosa e questo mi ha permesso di poter entrare, da ascoltatore, in questa sua visione. Straordinario!!!
Raphaël Pichon
Mettere insieme un cast simile è oggi fantascienza. Michael Spyres nel ruolo di Idomeneo si conferma come uno dei più grandi tenori di oggi per questo repertorio. Autentica voce di baritenore offre una gamma di colori veramente impressionante ed un volume che è quello che spesso difetta nei tenori che salgono così tanto in acuto e in grave e possiedono anche agilità da capogiro: lui ha tutto questo. Unisce a ciò un’espressività a tratti commovente. E’ la terza volta che lo ascolto dal vivo ed anche in questa occasione mi ha stordito! Bravissimo!!!
Michael Spyres
Anna Bonitatibus era Idamante. Per lei devo spendere parole anche dal punto di vista personale. Io ed Anna ci conosciamo da quando studiavamo con lo stesso insegnante e si era da subito creata una grande simpatia trasformata in amicizia. Legata alla mia famiglia ed ai miei figli che non l’hanno mai dimenticata. Non voglio entrare in particolari che non hanno interesse per chi legge; posso solo dire che mi ha umanamente aiutato in un momento molto difficile della mia vita e gliene sarò riconoscente sempre. Gli anni passano, la professione ti allontana ma quello che c’è nel cuore rimane e con lei è stato così. Ci siamo visti l’ultima volta circa vent’anni fa a Genova poi ho seguito da lontano l’evoluzione della sua carriera. Incontrarla è stata un’emozione grandissima. Confesso che ho pianto nell’abbracciarla. Quante cose ci sarebbero state da raccontare. L’assurdo, che poi non lo è, è che sembrava ci fossimo visti il giorno prima. Queste, per me, sono le soddisfazioni della vita…l’amicizia vera non muore mai. Ora il suo Idamante. Inutile dire che il bellissimo e vellutato colore della sua voce colpisce immediatamente al primo suono emesso. La scuola la conosco…è la mia stessa! Peccato che non ho la sua voce! In lei ogni parola ha sempre un significato e la giusta espressione. Fa di Idamante un personaggio che esprime esattamente i suoi sentimenti: il diverso tipo di amore per il padre e per Ilia. La voce è perfettamente proiettata, belle agilità (che nel repertorio rossiniano diventano spettacolari!), pianissimi impalpabili ma assolutamente appoggiati, non falsetti spacciati per pianissimi come accade spesso. Mi ha veramente commosso. Ci siamo ripromessi di non perderci più per così tanto tempo. Ti voglio bene Anna!
Anna Bonitatibus
Sabine Devieilhe, altro motivo della mia trasferta, è Ilia. Ogni volta questa artista riesce a stupirmi per le sue scelte esecutive. Giustamente drammatica nei recitativi accompagnati e soave e aerea nelle arie. Fa di “Zeffiretti lusinghieri”, che già di per se è un’aria che ha del miracoloso, qualcosa di sublime. Piccole variazioni e puntature che non fanno che arricchire la scrittura mozartiana. Come ho scritto una volta anche a lei, se esistono gli angeli hanno sicuramente la sua voce.
Sabine Devieilhe
Nicole Chevalier era Elettra. Questa cantante di origini statunitensi mi era stata segnalata da un’allieva del conservatorio tempo fa (per una volta il contrario di quello che succede sempre!). La sua Elettra è assolutamente completa. Le arie che questo personaggio canta sono diverse per scrittura ed intenti. La Chevalier regge ottimamente sia la parte drammatica, vedi “Tutte nel cor mi sento” ed uno strepitoso “D’Oreste e d’Ajace”, sia la parte lirica, vedi la morbidezza di suono nell’aria “”Idol mio” e nell’aria con il coro “Placido è il mar”. Una bella sorpresa! Spero di poterla risentire in futuro.
Nicole Chevalier
Completavano il cast l’ottimo Linard Vrielink nel ruolo di Arbace, Frešimir Špicer nel ruolo del Gran Sacerdote e Alexandro Stavrakakis come Voce di Nettuno.
Linard VrielinkKrešimir Špicer
Una serata che non dimenticherò mai. Al termine incontro con gli artisti come mia consuetudine con scambio di impressioni sullo spettacolo.
Con Anna Bonitatibus dopo la recita
Il giorno successivo la recita pomeriggio interessantissimo con Sabine Devieilhe ed il Maestro Raphael Pichon che, nell’ambito delle manifestazioni del Festival, hanno partecipato ad un incontro con il pubblico dove hanno parlato della produzione e dei loro piani futuri.
Con Sabine Devieilhe ed il Maestro Raphaël Pichon al termine dell’incontro/conversazione
Sarò più breve circa il Moïse et Pharaon da me ascoltato e visto (!) approfittando dei due giorni consecutivi di rappresentazione delle due opere. Grande delusione per la parte visiva. Produzione creata dal regista Tobias Kratzer del quale avevo abbastanza apprezzato una produzione del Trittico data a Bruxelles e che avevo visto in streaming. Qui ci troviamo di fronte ad una accozzaglia di luoghi comuni dell’ultima ora, vera spazzatura visiva, dove in metà palcoscenico vivono gli Ebrei in una sorta di accampamento Rom sdruciti al punto giusto e, ovviamente, fabbricanti bombe molotov e dall’altra gli egizi (?) in una sorta di “stanza ovale” stile Casa Bianca dove tutti sono”fighetti” con Sinaïde che sembrava una Melania Trump dei poveri ed il Faraone un qualsiasi capo di stato in abito blu. L’unico che era vestito da Ebreo era Mosè…una scelta? Boh? Comunicano tra di loro attraverso Skype!!! Il Faraone urla di tutto a Mosè utilizzando un PC portatile della Apple e via andare! Ma di tutto lo spettacolo la scena più agghiacciante si è vista dopo il passaggio del Mar Rosso: gli Ebrei su una spiaggia stile stabilimento balneare che giocano, si abbronzano e mangiano gelati. Scusate ma questo per me è inaccettabile!!! Basta così! Ho sprecato anche troppe parole.
Il passaggio del Mar Rosso, unica scena non disturbante!La scena finale…senza parole!Applausi finali
La bellezza della musica rossiniana, in un contesto, simile evapora e questa volta non ce la fa a prevalere. Sono un grande estimatore del Maestro Michele Mariotti che, in questa occasione opera un po’ troppi tagli soprattutto nei concertati. Aggiunge un coro finale che si trova nella partitura originale che, sembra, non sia stato eseguito nemmeno alla sua prima rappresentazione e che, a mio avviso, rompe la drammaticità del momento. Salvo nel cast, poco rossiniano e poco amalgamato Michele Pertusi che, da quel grande cantante e professionista che è ce la mette tutta a rendere credibile quello che credibile non è. La sua voce risuonava perentoria quasi a scongiurare altri tipi di maledizioni da parte del pubblico!
Michele Pertusi
Nel ruolo difficilissimo (ma cosa c’è di facile in Rossini?) di Amènophis il giovane tenore Pene Pati. Questo ragazzone è in possesso di uno strumento di tutto rispetto e ne avevo letto un gran bene. Purtroppo accenna per il sessanta per cento dell’opera forse pensando di essere espressivo; non ha la minima idea di cosa sia la scrittura rossiniana come, del resto, la maggior parte dei cantanti che compongono il cast. A questo proposito devo dire che sono rimasto veramente stupito. Sembrava essere tornati al Rossini degli anni 40/50. Questo è veramente inaccettabile dopo anni di “Rossini Renaissance”. Oggi le agilità non possono essere più un optional o qualcosa che può essere tranquillamente asfaltato. Per un festival internazionale direi che non va bene!
Pene Pati Il Maestro Michele Mariotti
Il basso Adrian Sãmpetrean offre uno sbiadito ritratto del Faraone. Vocalità poco interessante. Agilità alla “timariesci” (termine genovese che definisce le cose fatte in maniera approssimativa). Scusate la mia forse poca professionalità ma questo è un blog. Non scrivo per importanti testate giornalistiche…solo i miei pensieri ed il dialetto viene fuori quando mi arrabbio!
Asian Sāmpetrean
Il tenore Mert Süngü era Èlièzer dal quale esce abbastanza bene e riesce a non fare danni in questo ruolo dalla scrittura impervia che mette alla prova chiunque lo affronti.
Mert Süngü
Bene Edwin Crosslet-Mercer quale Osiride ed Una voce misteriosa.
Edwin Crossley-Mercer Alessandro Luciano
Molto bene il tenore Alessandro Luciano che nel piccolo, ma non meno difficile, ruolo di Aufide si distingue come Pertusi dal resto del cast.
Sul versante femminile le cose vanno leggermente meglio. Jeanine De Bique era Anaï. Questa cantante è stata comunque per me un discreto mistero. Ascoltata ed apprezzata recentemente dal mio amico Guido Palmieri a Parigi come Alcina mi è sembrata comunque poco aderente alla scrittura rossiniana. Il timbro non è sicuramente dei più affascinanti ed, essendo la prima ottava un po’ “parlante”, crea uno scalino passando dalla zona media a quella grave. Discrete le agilità nella grande aria dell’ultimo atto che, a suo onore, ha eseguito per intero. Non mi ha, in ogni caso, impressionato per nulla.
Jeanine De Bique
La giovane Vasilisa Berzhanskaya era Sïnaide come lo scorso anno a Pesaro. Non è ancora chiaro cosa voglia fare nella vita in quanto, in teoria, si spaccia per mezzosoprano ma…in realtà per me è un soprano, cosa già ampiamente dimostrata come Sara nel Devereux a Palermo qualche mese fa. Gli estremi acuti sono comunque un po’ “tiratelli”. Nell’aria si disimpegna ma non mi colpisce. Sempre per il mio “passatismo” proverbiale…la mia prima Sinaide fu Cristina Deutekom. Ho detto tutto. La cosa agghiacciante è che ho appena saputo che canterà Norma (!!!) come seconda alla Rebeka la prossima stagione a Genova. Ma cos’ha nel cervello questa ragazza? Da chi è consigliata? Certamente da qualcuno che vuole una sua fine precoce! Roba da matti!
Vasilisa Berzhanskaya
Molto bene la Marie, sorella di Moise di Geraldine Chauvet.
Geraldine Chauvet
Divertente l’inserimento nell’elenco personaggi di una comparsa (che si sarà beccata un sacco di soldi): Laurene Andrieu nel “ruolo” della Principessa Elegyne di Siria, promessa sposa di Amenophis…solita “velina scazzata” con trolley annesso!
Questa al contrario dell’altra è una serata che non ricorderò. anzi, spero di dimenticare al più presto con una produzione migliore di questa straordinaria opera! Foto in parte fornite gentilmente da Guido Palmieri che trovavasi in postazione più favorevole! Next!
ManifestoAtrio della Pergola, teatro che vide la prima del Macbeth verdiano
Alla fine ho deciso di andare a Firenze per assistere a questa produzione di Ariadne auf Naxos, la terza quest’anno in Italia…che stranezza!!! Al di là dell’amore che provo per quest’opera per motivi già illustrati negli altri due articoli, da buon “zerbinettologo”, non potevo perdere l’occasione di ascoltare Jessica Pratt al debutto nel ruolo (anche se già a Martina Franca cantò la versione 1912 ed in italiano). Questa produzione ha avuto un percorso assai travagliato perché, proprio la Pratt, nei giorni precedenti la prima rappresentazione risultò positiva al Covid. Dopo le prime recite che hanno visto la presenza di altre cantanti al suo posto, tra cui Beate Ritter cantante da me ascoltata a Vienna come apprezzabilissima Regina della Notte, ed essersi negativizzata in tempo per partecipare alla ultime due recite (la mia era l’ultima) ecco la sorpresa: il direttore Daniele Gatti è positivo a sua volta. Recite spostate quindi di una settimana. I giorni precedenti la prima delle due anche Alexander Pereira, sovrintendente del Maggio e qui sicuramente simpatico interprete dell’Haushofmaister come fece alla Scala qualche anno fa, Komponist, Brighella es Ein Offizier cadono nelle grinfie del Covid e vengono ovviamente sostituiti…che storia!!!
Applausi finali
Partiamo dall’allestimento. Solita roba che non sa “ne di me ne di te” (come diciamo a Genova) a cura di Volker Hintermeier con citazioni “artistiche” contemporanee nel prologo (vedi i famosi Tagli di Fontana) come a voler sempre dimostrare che il “signore del castello” era un arricchito che si circondava di opere d’arte. Costumi di Adriana Braga Peretzki molto simili a quelli dell’allestimento bolognese. Giacche di paillettes per le maschere e “via andare”. Sberluccicava tutto! Belli gli effetti di luce di Valerio Tiberi che riuscivano in qualche modo a valorizzare la pochezza della scena; come dico sempre, in ogni caso e fortunatamente, nulla di eccessivamente molesto. Regia o non regia di Matthias Hartmann. Niente di che tranne le solite mossette delle quattro maschere e dubbie cadute di gusto nel quintetto a seguire la grande aria di Zerbinetta. D’accordo che è un gruppo di commedianti ma la volgarità fine a se stessa lascia sempre il tempo che trova, anzi, personalmente mi disturba. Unico lavoro particolare fatto proprio su Zerbinetta e spiegherò poi perchè questo risultava evidente.
Applausi al termine del Prologo
Il cast. Krassimira Stoyanova, già ascoltata da me nel ruolo di Ariadne a Vienna anni fa ed a Milano lo scorso aprile si conferma per quella fuoriclasse che è ed è anche un riferimento per questo ruolo. La voce non ha il minimo cedimento. Fa di “Es gibt ein Reich” un capolavoro ed il duetto finale è un capolavoro per intenzioni interpretative. Veramente commovente!
Krassimira Stoyanova
Bacchus era Aj Glueckert. Ho già scritto negli altri articoli a proposito dell’impervietà del ruolo data l’antipatia di Strauss per i tenori che venivano puniti da lui con una scrittura improbabile, ovvero: “Se ce la fai bene altrimenti ti arrangi!”. Devo dire che dei tre tenori ascoltati quest’anno era sicuramente il più corretto, intonato e meno affaticato. Anche lui opta per un suono pieno sulla parola “Zauberin” al posto dello scritto “piano” ma…tutto non si può avere. Certo, Stephen Gould (Scala) è un tenore di altra caratura ma l’età gli impedisce ormai di essere completamente credibile. Ho comunque apprezzato, nel tenore di questa sera, il suo aver portato in fondo il personaggio senza affanno e forzature.
Aj Glueckert
Sophie Koch ha sostituito la prevista Michèle Losier coviddizzata anch’essa. Classe ed esperienza non riescono a sopperire ad uno strumento usurato e gli escamotages usati per risolvere gli acuti di cui questo ruolo è disseminato non hanno fatto altro che sottolineare questa problematica. Un po’ meglio che alla Scala comunque.
Sophie Koch
Come alla Scala Markus Werba, che io continuo a considerare un cantante sopravvalutato, è un corretto Musiklehrer. Antonio Gares è uno svettante Tanzmeister, molto bravo anche scenicamente. Completano adeguatamente il cast dei personaggi del prologo Joseph Dahdah (Ein Offizier), Matteo Guerzè (Ein Peruckenmacher). Der Haushofmeister era, come a Bologna il bravo Franz Tscherne in sostituzione di Pereira.
Markus Werba
Le tre Ninfe, ben amalgamate fra loro erano Maria Nazarova (Najade), Anna Doris-Capitelli (Dryade) e Liubov Medvedeva (Echo). Mi sono chiesto perché nel terzetto che apre “L’Opera” la Nazarova accennasse per poi cantare normalmente nell’intervento finale. Molto strano ma so di cosa parlo.
Anna Doris-Capitelli Liubov Medvedeva Maria Nazarova
Le quattro maschere erano il molto espressivo Liviu Holander (Harlekin), Luca Bernard (Scaramuccio), Jacoub Elsa (Truffaldino) e Paul Schweinester (Brighella) il quale era un’altra sostituzione comunque ben inserito nel gruppo. Bravi.
Jacob Elsa Liviu Holander Luca Bernard Paul Schweinester
Veniamo a Zerbinetta. Jessica Pratt, che è a mio avviso una grande artista, non ha certo problemi vocali nell’affrontare le enormi difficoltà che questo personaggio prevede e la sua “Grossmächtige Prinzessin” stupisce per facilità vocale di esecuzione ma, nonostante l’intelligenza del regista nel costruire un personaggio su di lei, anche se spesso sopra le righe, non è Zerbinetta. Si è tolta certamente una bella soddisfazione affrontando questo ruolo ma io la preferisco sicuramente nel repertorio belcantistico nel quale veramente eccelle. La parrucca che poi indossava nell’Opera la faceva assomigliare di più ad Azucena…perchè questa scelta? Molto più elegante nel Prologo. Bravissima comunque.
Jessica Pratt nel PrologoJessica Pratt nell’Opera
Daniele Gatti non è un direttore che amo particolarmente ma in questa occasione si distingue per scelte dinamiche e ritmiche. Ha esposto un’idea precisa e non è poco. Ottima, sotto la sua bacchetta, la prova dell’Orchestra del Maggio. Globalmente un’ottima esecuzione.
Daniele Gatti
Eccomi arrivato quindi alla mia ottava Zerbinetta che segue Edita Gruberova, Elena Mosuc, Daniela Fally, Erika Miklosa, Sabine Devieilhe, Olga Pudova ed Erin Morley…e spero di ascoltarne ancora. Prossimo giro Idomeneo e Moise ad Aix en Provence…Covid permettendo!
Con la brava e gentilissima Jessica PrattJessica Pratt e Daniele Gatti Krassimira Stoyanova Il ManifestoTarga che ricorda la prima del Macbeth