
Scappata veloce a Milano per ascoltare una composizione immortale del Cigno di Busseto, la Messa da Requiem. Non scriverò nulla di specifico relativamente alla composizione perché tutto è già stato detto su di essa. La mia, al solito, vuole solo essere una cronaca di quanto ascoltato. Il preciso motivo d’interesse era la presenza fra i solisti di Anna Bonitatibus, “vecchia amica” e compagna di studi che ho ritrovato dopo vent’anni la scorsa estate ad Aix en Provence dove fu uno splendido Idamante nel mozartiano “Idomeneo”. Dopo aver letto un post di Anna dove sottolineava la volontà di Verdi di utilizzare per le voci delle dinamiche molto precise con molti “piano” e “pianissimo” ho preso lo spartito e non potuto far altro che verificare quanto da lei affermato. Ne abbiamo anche parlato dopo il concerto. Rimane una perplessità: perché chiedere alle voci sonorità così rarefatte quando le stesse voci si ritrovano inserite in sonorità orchestrali e corali di ben altra portata? Un mistero inspiegabile. Forse ci vorrebbe una via di mezzo dal punto di vista esecutivo ma Verdi, si sa, vie di mezzo non ne vuole quindi la tendenza generale è quasi sempre la scelta di votarsi all’urlo quasi si trattasse di repertorio verista.

Ieri, quindi, mi sono trovato di fronte ad una sorta di fritto misto per quanto riguarda l’esecuzione delle parti vocali. Il Maestro Claus Peter Flor che pure ha fornito, in generale, una lettura convincente della partitura, non è stato forse così capillare nelle indicazioni suggerite ai solisti che sembravano cantare spesso ognuno per conto proprio.

Nello specifico: l’unica ad aver fornito una prova superlativa è stata proprio Anna Bonitatibus. Risparmio ai soliti simpatici il commento malevolo: “Eh…ne parla bene perché é una sua amica…!”. Io non sono mai stato risparmiato da nessuno quando cantavo e, sempre per i “simpatici”, non si fa del bene agli amici parlandone bene a tutti i costi, proprio perchè sono amici. La sincerità è quella che tiene salde le amicizie, che per quanto mi riguarda, in questo ambiente sono molto poche. Terminato il sermoncino di spiegazione, per chi vuole intendere ovviamente, torno ad Anna Bonitatibus. Caparbiamente convinta di quanto affermato in precedenza ha fornito un’esecuzione che si distacca di molto da quelle da me ascoltate finora. Verdi ha scritto questo ed io devo cercare di fare questo sembrava essere il suo motto. E’ molto facile avendo una bella voce sbattere in faccia all’ascoltatore ignaro suoni “grassi” quasi a creare effetti che però non sono, a questo punto, quelli voluti dall’autore. Anna ha remato al contrario come voler dire: “La voce so di averla ma non è sufficiente per “dire” quello che l’autore ha voluto”. Esegue quindi un “Liber scriptus” veramente commovente senza avere l’acceleratore pigiato a tavoletta come spesso accade, senza gonfiare ed ingrossare i suoni come a voler affermare il tipo di vocalità. Tutti i suoi interventi sono stati eseguiti nel rispetto della partitura e delle altre voci evitando la solita gara: facciamo a chi urla di più! Come dico spesso: “Si impara sempre qualcosa” ed anche in questa circostanza è accaduto. Grazie Anna!

Un ottimo materiale vocale ha il giovane tenore catanese Valentino Buzza, che ha già al suo attivo un nutrito curriculum soprattutto nel repertorio barocco, ma questo a me non basta. Voce c’era, solo quella. Povertà di colori nell’esecuzione dell’ “Ingemisco” (e li le indicazioni dinamiche sono chiarissime). A tratti problemi di intonazione (una certa tendenza ad essere crescente) Mi direte: “Si fa come si può” oppure io suggerisco: “Se non si può non si fa”. Il repertorio dal quale potrà attingere è vastissimo e forse ci sono composizioni più adatte alle sue caratteristiche.
Onesta ma nulla di più la prova del basso Fabrizio Beggi da me già ascoltato a Genova anni fa quale pallido Ramfis in Aida. La voce c’é ma l’emissione è a tratti avventurosa. Spesso gli estremi acuti sono fissi e soprattutto una cosa: perché quando uno canta con la voce di basso deve sempre atteggiarsi come se fosse l’orco delle favole? “Guardatemi come sono cattivo! Io sono un basso, cosa credete?”. Speravo che questo tipo di cliché fosse ormai superato da tempo e soprattutto fosse evitato dai giovani…evidentemente non è così!

Vengo alla nota più dolente di questa esecuzione. Il soprano Carmela Remigio è affermata cantante in carriera già da molto tempo. Il timbro non è mai stato tra i più affascinanti ma, dal mio punto di vista, la cosa diventa irrilevante a patto che la voce sia gestita correttamente dal punto di vista tecnico. Purtroppo, oltre a non essere sorretta da un adeguato assetto tecnico, laddove ogni vocale sembra collocata in posti diversi con una pronuncia delle I e delle E a tratti imbarazzante, la voce risulta inesorabilmente usurata da scelte di repertorio avventate fatte durante la carriera, una per tutte quella di voler interpretare l’impervio ruolo di Norma. Ritrasmessa dalla Rai poco tempo fa la mostra, in totale inadeguatezza, porgere il fianco a tutte le difficoltà che il ruolo comporta e spesso le si legge nel volto il terrore provato (e in questo senso la televisione è spesso impietosa). Anche in questa occasione mostra una prima ottava “parlante” e totalmente inadeguata ad affrontare le frasi drammatiche che il compositore le affida. In acuto le cose non vanno meglio. Ogni acuto è forzato e soprattutto chiude la prima parte del “Libera me Domine” con un Sib al limite dell’urlo e tolto via con la velocità del lampo. Lascia addirittura diverse frasi dove si trova al raddoppio con i soprani del coro forse per arrivare al finale un poco più rilassata ma invano. Perché mi chiedo? Io credo e spero che lei sia assolutamente cosciente e, in tal caso, l’amor proprio dovrebbe fare il resto. Tornando al discorso di prima , se fossi un suo amico, non esiterei a parlarle in questo senso. E come già espresso in questo ambiente esistono solo gli adulatori o gli approfittatori. Gente sincera molto poca ahimé!
Ottima la prova del coro sotto la guida di Massimo Fiocchi Malaspina. Una bella tavolozza di colori. Potenza dove necessaria ma anche morbidezza di suono nei “piano” previsti. Buona anche la prova dell’Orchestra Sinfonica di Milano sotto la guida di Claus Peter Flor, direttore di cui non avevo alcuna contezza ma che, da curriculum, sembra operare fondamentalmente in teatri di area germanica e negli Stati Uniti.

Piccola nota, in questo caso non polemica ma di colore: io credo di non aver mai trovato un’acustica così brutta come in questo auditorium che è, peraltro, la sede della stagione della Sinfonica di Milano. Le voci dei solisti, che pure erano collocati “davanti”, sembravano provenire da lontano e spesso erano sovrastate dalla massa sonora formata da coro ed orchestra. Certi strumenti risaltavano più di altri. Ho trovavo acustiche migliori in situazione all’aperto…ed è tutto dire.

Contento comunque di esserci stato e di aver ascoltato dal vivo questa composizione monumentale, cosa che non accadeva da molti anni.

Un grazie, come sempre, per le fotografie agli amici Guido Palmieri ed Eugenio Osso. Io ho la videocamera del telefono mobile rotta pertanto non ne posso fare e, dati i costi delle bollette di gas ed energia elettrica che arrivano ed arriveranno, finché l’oggetto in questione non sarà letteralmente morto e sarò costretto a prenderne uno nuovo le fotografie non faranno più parte del mio operato. Va così, olè!!!